I morti sono oramai oltre 500, la possessione diabolica dell'esercito israeliano non si ferma

Le UN denunciano la “fame armata” a Gaza, Israele continua a sparare sui disperati

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Mentre si va spegnendo l’allarme della guerra in Iran e la comunità internazionale si ricompatta dopo lo ‘scampato pericolo’ (ancora tutto da verificare), nella Striscia di Gaza prosegue un orrore senza pari.  

Le Nazioni Unite, da Ocha ad Unrwa (l’Agenzia per i rifugiati palestinesi) ad Unicef, continuano a denunciare con forza l’incubo della «fame armata» e della trappola della morte a Gaza. (qui)

The “weaponised hunger’” così la chiama Jonathan Whittall, a capo del coordinamento di Ocha a Gaza, è una «condanna a morte per persone che stanno semplicemente cercando di sopravvivere».

I palestinesi affamati vengono attratti nella trappola della distribuzione degli aiuti per poi venire colpiti a morte dai militari israeliani. 

Un tiro al bersaglio disumano che ha già fatto oltre 500 morti e più di 3mila feriti.

Solo stamani ci sono stati altri 41 decessi e 14 erano in fila per gli aiuti.  

«Sembra che vogliano cancellare la vita dei palestinesi da tutta la Striscia di Gaza», ha dichiarato Whittall.

Proprio ieri il portavoce dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani dell’Onu, Thameen Al-Kheetan, ha detto:

«La gente disperata e affamata di Gaza continua a dover scegliere in modo disumano tra morire di fame o rischiare di venire ammazzato mentre cerca di prendere il cibo».

Questa dinamica diabolica è filmata, accertata, monitorata e condannata. E nonostante tutto l’Idf non si ferma.

Da quando la Gaza Humanitarian Foundation ha iniziato ad operare, il 27 maggio, «l’esercito israeliano ha colpito con armi da fuoco i palestinesi che raggiungono i punti di distribuzione degli alimenti – dichiara Thameen Al-Kheetan –

Oltre 410 persone sono state uccise, mentre altre 93 sono state colpite sempre dall’esercito mentre cercavano di avvicinarsi ai pochi convogli umanitari delle Nazioni Unite.

Almeno 3mila palestinesi sono stati feriti».  

L’obiettivo evidente è distruggere un intero popolo: Gaza è un “carnage” continuano a scrivere le UN e Israele viola tutte le norme del Diritto Internazionale e commette crimini di guerra inauditi contro i civili.

Eppure non viene fermato nè sanzionato.

«In risposta alle domande della stampa internazionale, i militari hanno dichiarato che le stragi sono necessarie per controllare la folla, che rappresenta un potenziale pericolo per le proprie truppe», scrive Eliana Riva sul Manifesto.

«Ma gruppi internazionali e testimoni hanno raccontato di attacchi avvenuti senza alcun preavviso». 

Per 12 giorni, a partire dal 13 giugno scorso, quando più o meno a sorpresa Israele ha bombardato l’Iran, il mondo ha guardato da un’altra parte.

La tragedia di Gaza è stata momentaneamente oscurata da una possibile escalation bellica tra Iran, Israele e Stati Uniti.

Poi, in modo repentino, la «guerra dei 12 giorni» così come è iniziata si è chiusa.

«In questo scenario drammatico che include Israele e Palestina rischia di cadere nell’oblio la sofferenza quotidiana della popolazione, specialmente a Gaza e degli altri territori dove l’urgenza di un adeguato sostegno umanitario si fa sempre più pressante», aveva avvertito domenica scorsa durante l’Angelus papa Leone.

La tregua sembra reggere oggi, la gestione del conflitto lampo (senza ragioni evidenti), affidata arbitrariamente a Donald Trump, lascia spazio ora alle interpretazioni e alle domande.

La diplomazia ha tirato un sospiro di sollievo, ma a Gaza niente è cambiato.

Se non che i morti sono aumentati, i civili sono allo stremo e i bambini muoiono a migliaia.

Un mistero poi aleggia sui numeri: secondo l’ultimo studio pubblicato nel Dataverse dell’università di Harvard, 377mila palestinesi risultano “scomparsi” a Gaza.

Non evacuati, non dispersi ma scomparsi.

Il dato è emerso da un’analisi incrociata tra le mappe dei cosiddetti “centri umanitari” e le stime aggiornate della popolazione.