Segnata dall’impeachment del presidente Yoon Suk Yeol, la Corea del Sud vive una fase di transizione interna, mentre si affievoliscono i rapporti con Pyongyang anche a causa delle tensioni internazionali.
Quando i giovani defector – così li chiamano, cioè “disertori” – riescono a fuggire dalla Corea del Nord, portano in Corea del Sud i loro sogni, dolori, speranze.
Sono coinvolti in programmi ufficiali del governo di Seoul per consentire loro di rifarsi una vita e inserirsi nel tessuto sociale e lavorativo.
E trovavano, fino ad alcuni anni fa, una società che condivideva, con profonda empatia, le loro ferite, la loro condizione di profughi, di “fratelli” fuggiti da una nazione caratterizzata da repressione, controllo sociale ossessivo, totale assenza di libertà.
I coreani del Nord – fin dalla separazione di 70 anni fa quando, nel 1953, a conclusione della guerra di Corea, si confermò una frontiera lungo il 38° parallelo a spezzare in due la penisola – sono sempre stati considerati e definiti “fratelli e sorelle”.
Sono membri di uno stesso popolo, stessa storia millenaria, stessa lingua, stessa cultura.
Ma oggi quel sentimento, quella convinzione, quello spirito fraterno sembrano affievoliti.
Lo registra anche l’associazione cattolica Ttiattmeori (in coreano “amore e amicizia tra fratelli e sorelle”, ndr), che si occupa di far incontrare giovani nordcoreani con i coetanei sudcoreani per dialogare, costruire amicizia, anche condividere la fede.
Nella Corea del Sud che attraversa una difficile e, per certi versi, inattesa transizione politica – con l’impeachment del presidente Yoon Suk Yeol, formalmente accusato di “sedizione” – il disorientamento generato nella popolazione mette in rilievo due aspetti cruciali nella nazione: il rapporto irrisolto con le genti del Nord, inserito nel contesto di una prolungata fase di tensione internazionale;
e, sul versante interno, le sfide della condizione dei giovani sudcoreani, immersi in una cultura permeata da competizione spietata e da schiaccianti pressioni sociali.
Dialogo interreligioso
Padre Diego Cazzolato, missionario della Consolata da 30 anni in Corea, vive nella città di Dajeon dove svolge servizio pastorale, con un occhio speciale al dialogo interreligioso.
Il progetto missionario delle tre comunità della Consolata presenti su suolo coreano, infatti, si rivolge soprattutto all’ambito della prossimità con i poveri e con i migranti e poi – aspetto sempre importante in Asia – alla tessitura del dialogo con comunità di altre fedi, soprattutto nei luoghi istituzionali, ama anche nelle relazioni informali.
Interpellato da Popoli e Missione, il missionario condivide l’inquietudine e l’attesa che si avverte tra la gente, dopo l’arresto del presidente, per la soluzione di una vicenda che potrebbe durare ancora diversi mesi, elogiando «i coreani che intendono difendere a tutti i costi le conquiste della democrazia» e si sono opposti alla proclamazione illegittima della legge marziale, il provvedimento che ha dato il via alla crisi.
E mentre la politica interna desta preoccupazione, i rapporti con il Nord sono in una fase di estrema tensione: da quando, lo scorso anno, la Corea del Nord ha interrotto l’accesso stradale e ferroviario al Sud «c’è una totale separazione tra i due Paesi» racconta.
Segnali di chiusura come questo caratterizzano il momento storico presente e un impatto si avverte anche nella società del Sud: «Il desiderio di riunificazione e di riconciliazione si sta riducendo» afferma, rilevando anche un gap generazionale.
«Molti giovani del Sud iniziano a pensare che queste non siano strade praticabili.
Non sembrano più tanto interessati al popolo oltre frontiera. Paiono rassegnati. La speranza si va spegnendo» nota, invitando a «tenere desto il sogno, l’immagine di convivenza in pace, a tenere accesa la luce della speranza, specialmente in quest’anno giubilare».
Una opportunità che ora si presenta, ricorda padre Cazzolato, è il grande appuntamento che la nazione sta organizzando, la Giornata Mondiale della Gioventù (Gmg) che si terrà nel 2027 a Seoul.
Calo demografico e culture giovanili
Sulla mentalità e le sfide che affrontano i giovani coreani si sofferma anche il gesuita padre Sang-Hoon Park, sociologo e direttore del Centro di ricerca sulla solidarietà sociale e i diritti umani a Seoul.
I giovani, dice «si confrontano quotidianamente con un’esistenza frenetica, tutta proiettata al successo individuale e segnata da un’ansia di performance».
Assorbiti dalla competitività «i giovani sembrano avere sempre meno tempo da dedicare alla ricerca interiore e alla dimensione trascendente».
E così «il fallimento degli obiettivi di studio o professionali crea frustrazione, depressione e isolamento».
Quest’ultimo, osserva il gesuita «significa povertà di relazioni umane, povertà sociale, psicologica e spirituale.
La solitudine è spesso alla base di numerosi problemi come ansia, violenza, traumi, criminalità, suicidio, depressione, apatia e persino polarizzazione politica».
Questa tendenza, rimarca Park «sta diventando un’emergenza sociale» accanto a un altro fenomeno che si registra nella società coreana: quello del generale calo demografico, dato che il tasso delle nascite in Corea del Sud è tra i più bassi al mondo (nel 2023 era di 0,72).
E’ questa la cornice entro cui i cattolici coreani (l’11,5%della popolazione) offrono un aspetto essenziale della loro esperienza di fede, cioè quello della comunità e della fraternità, dimensioni che si vivono nelle realtà ecclesiali.
Da un lato la fraternitas è rivolta alla gente del Nord, bisognosa di aiuto, di libertà e speranza; dall’altro, a ogni persona in territorio sudcoreano, in special modo ai giovani che cercano un senso nella vita. La Gmg sarà anche questo: una preziosa occasione per donare il Vangelo.