Cisgiordania e “strategia dell’impunità”: coloni ebraici incendiano i villaggi per espellere i palestinesi

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Mentre in Rai va in onda (finalmente) il film-documentario No Other Land, in Cisgiordania gli attacchi violenti e vandalici si intensificano.

La guerra di Israele alla Palestina occupata si è inasprita nelle ultime sei settimane, ossia dalla stipula del cessate-il-fuoco, apertamente violato, su Gaza.

Le Nazioni Unite calcolano oltre 260 attacchi di coloni ebraici nel solo mese di ottobre, su tutta la West Bank.

Resistere in Cisgiordania è diventato impossibile: le violenze dei settler sui villaggi palestinesi restano impunite e l’avallo dei militari è parte integrante della strategia di occupazione. 

«Questi gruppi, spesso armati, stanno esercitando una pressione sistematica per rendere insostenibile la vita delle comunità palestinesi, spingendole all’esodo forzato».

Lo conferma all’agenzia Sir, monsignor William Shomali, vicario generale del Patriarcato latino di Gerusalemme e vicario patriarcale per Gerusalemme e Palestina.

Nell’intervista di Daniele Rocchi monsignor Shomali dice: «alla già complessa realtà dell’occupazione militare e della frammentazione del territorio, si è sovrapposta un’ondata di violenza da parte di coloni estremisti che agiscono in un clima di quasi totale impunità».

L’ultima grave aggressione – che ripete la tattica dell’incendiare case e ulivi – in ordine di tempo, risale a poche ore fa: nel mirino il villaggio di Al-Jaba, a dieci chilometri sudovest di Betlemme.

Qui, tre case di palestinesi ieri sono state incendiate, così come tre veicoli e una capanna, come denuncia Dhyab Masha’la, a capo dell’amministrazione locale.

«La situazione al momento è molto brutta. I coloni operano in totale impunità», dice Aviv Tatarsky, attivista israeliano intervistato da Al Jazeera.

Domenica scorsa diversi coloni avevano già vandalizzato delle auto nel villaggio di Sinjil e avevano compiuto incursioni armate nei dintorni del villaggio di Mughayyr. 

Sabato scorso era stata la volta di Beit Furik, ad est di Nablus: nel mirino ci sono le abitazioni ma anche le moschee.

La moschea di Hajja Hamida, nel villaggio di Deir Istiya, vicino Salfit è stata data alle fiamme il 13 novembre scorso.

«Parliamo di aggressioni e pestaggi, sparatorie per intimidire o ferire», denuncia sempre monsignor Shomali al Sir.

«Il tempo della raccolta delle olive – prosegue – si è trasformato in un periodo di ansia e pericolo.

Assistiamo a un picco significativo di attacchi in queste settimane: i coloni irrompono negli uliveti per rubare il raccolto, tagliare o dare alle fiamme gli alberi, spesso secolari, che sono il patrimonio e la storia di intere famiglie.

Ci sono poi atti di vandalismo e distruzione di proprietà come case, automobili, serre e stalle per il bestiame che vengono date alle fiamme o demolite».

Dal 1° ottobre ad oggi l’Ocha, l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, ha documentato 167 attacchi da parte dei coloni legati alla raccolta delle olive di quest’anno, che hanno colpito 87 comunità palestinesi.

Le risoluzioni riguardanti Israele e la questione palestinese emesse dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dal 1948 al 2024, sono ben 229: fino al 2013 lo Stato di Israele è stato condannato 45 volte per violazioni del Diritto internazionale dallo United Nations Human Rights Council.

Nell’ormai celebre report della relatrice Onu per i Territori Palestinesi Occupati, Francesca Albanese, dal titolo “from economy of occupation to economy of genocide”. (clicca qui), si denuncia l’occupazione israeliana come sistema economico-finanziario complesso.

«Un business dell’eliminazione» orientato alla distruzione dei palestinesi.

Questo stesso sistema ha facilitato la «trasformazione dell’economia dell’occupazione in economia del genocidio”».

ll report analizza gli ambiti di complicità internazionale sia nelle fasi di occupazione, principalmente nel Displacement (espulsione dei palestinesi) e Replacement (ricollocamento dei coloni sui territori rubati), che in quella ‘finale’ del genocidio. 

La complicità internazionale nell’occupazione militare della Cisgiordania riguarda anche l’agrobusiness e il global retail che agevolano il sistema delle colonie in tutti i Territori.

«Tnuva, il maggior gruppo industriale del settore alimentare in Israele, il cui pacchetto di maggioranza è della Chinese Bright Dairy & Food ha alimentato e l’espropriazione di terra e ne ha beneficiato», scrive Albanese.