Israele sta intensificando i bombardamenti su Gaza dando seguito all’escalation militare definitiva, in linea con l’annunciato piano di conquista dell’enclave.
La distruzione totale di tutto ciò che esiste ancora nella Striscia è il risultato di una preciso intento: quello di eliminare fisicamente il maggior numero di civili.
Nelle ultime ore, avverte la protezione civile, almeno 50 persone sono state ammazzate a Beit Lahia e Jabalia, dove sono state colpite almeno dieci abitazioni.
«Almeno 50 persone sono rimaste uccise stanotte, in aggiunta alle 143 ammazzate il giorno precedente.
I civili uccisi complessivamente, dal 7 ottobre 2023, ammontano a più di 53mila»: la tv panaraba Al jazeera tiene il conto delle vittime, rifacendosi alle notizie che arrivano direttamente dai pochi operatori umanitari e dai giornalisti palestinesi rimasti in vita a Gaza.
«Aprite le frontiere, fate entrare gli aiuti umanitari, qui la gente sta morendo!
Stanotte non si è dormito: pesanti bombardamenti anche questa mattina»: scrive sui canali social Gennaro Giudetti, operatore umanitario che si trova a Gaza in questo momento.
«Oggi sono stato a Jabalia – scrive ancora Giudetti – Mai visto un posto del genere: l’inferno sulla terra.
La devastazione più totale».
L’esercito israeliano non commenta e non risponde alle accuse, mentre persino il presidente Trump stamani ha ammesso che «molte persone stanno morendo di fame a Gaza, quindi dobbiamo guardare da entrambe le parti».
Marco Rubio, il diplomatico Usa che ha in mano il dossier, ha dichiarato che gli Stati Uniti sono «turbati» per la situazione umanitaria dei civili a Gaza.
«Non siamo insensibili alla sofferenza della gente», ha detto.
Non è chiaro però che cosa significhi un intervento americano, se non dar seguito alla annunciata deportazione in altri Paesi dei civili rimasti nella Striscia.
L’assedio dell’enclave, dove non entrano beni di prima necessità da più di 70 giorni, uccide lentamente soprattutto i bambini, e coloro i quali in qualche modo erano riusciti a sfuggire alla morte da bombardamento.
E’ solo una questione di tempo: a Gaza si muore per le bombe o per la mancanza di cure mediche e cibo; per le ferite gravi riportate, per il crollo delle case, degli ospedali.
Nell’ospedale indonesiano di Beit Lahia, un medico ha detto di aver ricevuto 30 morti e numerosi feriti, soprattutto donne e bambini.
Nell’ospedale Al-Awda di Jabalia sono arrivati 75 feriti nel giro di poche ore.
Ma la presa in carico di Gaza da parte degli Usa, come già annunciato da Trump, non sembra avere altri sbocchi se non quello di dare seguito all’evacuazione totale per consentire l’occupazione definitiva da parte di Israele.
Intanto ieri è partita la carovana solidale per raggiungere Rafah, al confine con l’Egitto.
La delegazione è composta da rappresentanti della rete di ong Aoi, Arci, Assopace Palestina, 14 parlamentari dell’Intergruppo per la pace tra Israele e Palestina, 3 eurodeputati, 13 giornaliste e giornalisti, accademici ed esperte di diritto internazionale.
«Torneremo su quel confine che a tutti gli effetti è la materializzazione della porta dell’inferno.
L’apocalisse come la definì il responsabile dell’Oms l’anno scorso.
Non si può rimanere a guardare lo sterminio di un popolo nella più totale indifferenza dei paesi occidentali alleati di un criminale e dei suoi complici», scrivono.