Dai missionari della SMA per anni nel Sahel – padre Mauro Armanino e padre Gigi Maccalli – al primo cardinale missionario della Mongolia, padre Giorgio Marengo.
Dagli attivisti per la Palestina Basel Adra e Yonatan Zeigen, alla benedettina femminista catalana suor Teresa Forcades. dal sacerdote umanitario Mattia Ferrari a don Luigi Ciotti, dai giornalisti locali in zone di guerra Jetry Dumont e Zehra Joya tra Cuba e Afghanistan.
Dalle teologhe Rosanna Virgili e Antonietta Potente agli economisti Gael Giraud e Jeffrey Sachs. E la lista è ancora lunghissima.
L’edizione 2025 del festival della Missione di Torino “il Volto prossimo” – con le location tra la chiesa di San Filippo Neri e la Facoltà teologica – è stato un tripudio di testimonianze evangeliche affiancate al racconto di chi si batte in prima linea per una giustizia incarnata.
Con l’idea (riuscitissima) di unire sotto un’unica insegna – quella della missione – i protagonisti più audaci della Chiesa ad gentes e i testimoni laici di un mondo in rapida trasformazione.
Tra di essi rientrano anche i famigliari di uomini e donne che sono stati uccisi per aver mantenuto una coerenza con la propria missione di vita (Diane Foley, madre del giornalista americano decapitato in Siria), o che subiscono una detenzione arbitraria per motivi politici (come la leader birmana Aung San Suu Kyi).
La forza propulsiva di questa “resistenza” missionaria di terza generazione è sintetizzata dalle parole di Roberto Mancini:
«coloro che si battono, che soccorrono, che si mettono in mare per raggiungere Gaza, che fanno opposizione, sono tutti fermenti di una società nuova che anticipano quella che verrà.
Sono soggetti importanti per la conversione di civiltà.
Non è vero che noi siamo in crisi: noi siamo in trappola.
Ma quando si comprende di essere in un vicolo cieco, in quell’esatto momento, si attivano forze per aprire altre strade».
Dalla trappola si esce solo insieme e solo se si fa rete.
Il festival – ospitato dalla Diocedi di Torino, promosso dalla Fondazione Missio e Cimi, sotto la Direzione generale di Isabella Prati e Agostino Rigon e la Direzione artistica di Lucia Capuzzi e Alessandro Galassi – ha raccontato esattamente queste strade alternative, i buchi nel sistema, i varchi attraverso i quali penetra l’essenza di un Vangelo vissuto nel concreto che opera miracoli.
I ‘fermenti’ sociali (siano essi strettamente missionari dentro la Chiesa, o appartenenti al mondo esterno) sono un’avanguardia.
«Io sono eretico, e la mia eresia, che voglio condividere con voi, è che l’amore vince – ha gridato dal palco di piazza Castello don Luigi Ciotti –
E credo che il Signore sia più grande delle nostre paure: il suo amore non è un tribunale ma un ospedale».
Persino nei contesti peggiori di conflitto armato o di sottrazione della libertà si può (si deve) fare resistenza attiva.
«Nel mio Paese c’è una situazione dura: un gruppo di uomini al potere ha completamente rimosso le donne» ha detto la giornalista afghana parlando dei Talebani.
E dice, lei, «l’istruzione è la chiave della libertà».
Dalla centralissima piazza torinese sabato 11 ottobre si sono espressi molti volti della “resistenza disarmata” della nostra epoca, come la suora eritrea Azezet Kidane e gli attivisti palestinesi della Cisgiordania occupata, tra le magiche esibizioni in musica dei dervisci di Hello Baba e dalle canzoni del nigeriano Chris Obehi («Non siamo pesci, siamo umani»).
«Noi li soccorriamo, ma loro ci salvano – ha ricordato don Mattia Feltri di Mediterranea, parlando dei migranti – Sono relazioni in cui Gesù ci viene incontro. Sembra che siamo noi a soccorrere persone in mare ma attraverso queste relazioni è Dio che salva la nostra vita».
E ancora, per dirla con le parole di un altro protagonista del Festival, padre Ermes Ronchi: «la salvezza sarà di tutti o non sarà una vera salvezza» poiché, siamo tutti «missionari chiamati alla corresponsabilità».
Il clima e la cura del Creato sono parte attiva di questa azione che ci sottrae al declino: cambiamento climatico, debito ecologico, impoverimento, danni della desertificazione e meccanismi di diseguaglianze vanno contrastati.
Tanto più che ognuna di queste “vulnerabilità” indotte, si salda a precisi meccanismi economici di sopraffazione.
La chiave per uscirne (dalle guerre, dalle crisi, dalle miserie, dall’anti-Vangelo) è squisitamente “collettiva”.
Questa la conclusione cui sono giunti, ognuno nel suo ambito, tutti i relatori di questa edizione (molto ecumenica) del Festival: tanto più che «le leggi del mondo materiale e quelle del mondo spirituale coincidono» come ha detto padre Ronchi e «il nostro prossimo – citando Gandhi – è tutto ciò che vive».

