Federico Santi: “in ricordo di suor Lilian e le altre, dono di missione che dura per sempre”

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Pubblichiamo qui un ricordo di Federico Santi che scrive di suor Lilian Gladson Kapongo e delle missionarie carmelitane decedute in un incidente d’auto in Tanzania. 

Nel centro di spiritualità di Boko, alla periferia di Dar Es Salaam, le nostre amiche suore hanno ospitato per oltre un decennio tutti i gruppi “Venite e Vedrete”, almeno 200 ragazzi e ragazze sono passati di lì.

A Boko, Suor Lilian aveva ideato ed avviato uno dei progetti missionari più belli e più efficaci che abbiamo mai visto: una fattoria per ragazze madri (l’anello più fragile della società tanzaniana) in cui giovani mamme abbandonate, con bambini e neonati, potevano imparare l’agricoltura di base, coltivare un pezzo di terra – dato loro gratuitamente in gestione dalle suore – e vendere i prodotti al mercato garantendosi una vita dignitosa.

I giovani italiani passeggiavano incantati, alla luce rossa dei tramonti africani, tra appezzamenti di matembele e mamme dai vestiti coloratissimi, con bimbi a tracolla e secchi d’acqua sulla testa.

Francesca Chinappi e suor Lilian a Boko, TanzaniaNella stessa area, di recente la stessa Suor Lilian aveva fatto realizzare un bellissimo giardino di preghiera (“karmel” vuol dire letteralmente giardino), pieno di murales con storie bibliche ed evangeliche, pagode, aiuole, specchi d’acqua, le grotte dedicate ai santi carmelitani, le stazioni della via crucis, i misteri del rosario.

Come per tutti i grandi santi della storia, anche la sua vocazione è stata un insieme di azione e contemplazione, di spiritualità e di promozione umana, di preghiera e di opere per gli “ultimi”.

Paulo è un altro segno che suor Lilian ci ha lasciato. Si presentò non ancora adolescente davanti al cancello della casa di Boko.

Venuto via nullatenente dal suo villaggio in cerca di una vita in città, a Dar Es Salaam, aveva perso ogni speranza e stava morendo di fame.

Dopo aver bussato invano a tante altre porte, si era rassegnato a morire.

Suor Lilian lo accolse, gli diede da mangiare, gli trovò un tetto, lo convinse a studiare, gli trovò qualche sponsor tra le famiglie della parrocchia e, una volta superato l’esame di maturità, chiese a noi di coprire le spese per il college e poi per l’Università, dove è riuscito brillantemente a laurearsi in economia.

Oggi è contabile e ha una famiglia tutta sua.

Suor Lilian era così, contagiosa nelle risate, nel bene, nel promuovere le persone, nel sognare e nel trasformare i sogni in progetti e i progetti in realtà, dalla scala internazionale alla scala microscopica di un ragazzo povero che bussa al cancello per cambiare la sua vita…e la tua.

Grande fan di S. Giovanni Paolo II, Suor Lilian aveva con lui aveva una storia personale profonda, durata tutta la vita.

Suor Lilian era una persona simpaticissima, di grande semplicità, sempre incredibilmente sorridente, ma anche di una eccezionale caratura internazionale.

Con lei vivemmo una delle missioni più straordinarie della nostra vita: andammo insieme nel Sud dell’India, allo scopo di avviare una nuova casa per la congregazione.

Girammo per due settimane tra Kerala e Tamil Nadu, ospiti di amici e parenti di un sacerdote indiano coinvolto nell’iniziativa, visitando posti ed incontrando persone per poter realizzare il sogno di una presenza nel Paese più popoloso del mondo, in cui il cristianesimo è ancora per lo più sconosciuto.

Sulla scia dei fondatori della sua congregazione, padre Lorenzo e M. Crocifissa, suor Lilian è riuscita ad avviare nuove missioni, consolidando le aperture in corso in East Africa (Kenya, Uganda, Congo), in Asia (Vietnam, Indonesia) ed accettando la sfida di lanciare due nuove missioni lontanissime: una in Australia e una a Papua Nuova Guinea, dove è stata di persona a far partire le attività.

Oggi nel dolore incredulo, brilla la luce di una vita felice, riuscita, piena.

Ci piace immaginare l’entrata trionfale in Paradiso delle nostre sorelle, tra gli applausi, la standing ovation e  Giovanni Paolo II ad accogliere Suor Lilian tra le sue braccia, come quel giorno del 1991 a Czestochowa, quando tutto è cominciato.