Cessate il fuoco a Gaza: le condizioni di Israele, le bombe e le onlus che resistono

La testimonianza della onlus Support and Sustain Children

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Ci sono passi in avanti verso un cessate il fuoco di 60 giorni a Gaza dopo il sostanziale via libera di Hamas all’accordo. Ma non c’è nessuna certezza di raggiungerlo e manca l’adesione di Israele.

In ogni caso la tregua, quando verrà raggiunta, sarà solo un primo passo dal quale partire per consolidare un eventuale negoziato che ponga fine alla guerra su Gaza.

Nel frattempo, come anticipa Al Jazeera, si discute delle “linee rosse” tracciate da Israele che non ha intenzione di spostarsi dal cosiddetto ‘corridoio Morag’ nel sud di Gaza.

«Questo significa che non vuole lasciar tornare la gente a Rafah, la città completamente cancellata – scrive al Jazeera – Israele inoltre insiste sul fatto che metterà fine alla guerra solo se Hamas verrà smantellata completamente con la consegna delle armi e l’esilio dei suoi leader (quelli ancora in vita)».

Hamas da parte sua non commenta tali condizioni ma secondo alcuni dossier sembrerebbe non intenzionata al disarmo.

E mentre la diplomazia è al lavoro, l‘esercito israeliano intensifica i raid su Gaza: oltre 300 palestinesi sono stati uccisi nelle ultime 48 ore, 118 negli attacchi delle ultime 24 ore, 33 di queste vittime erano in fila per gli aiuti alimentari.

Il bilancio totale e la conta dei morti dall’inizio del conflitto è straziante: sono stati uccisi più di 13mila bambini, ma la stima reale è probabilmente molto più alta.

Gli operatori e le organizzazioni umanitarie (alcune delle quali italiane) da Gaza non fanno che testimoniare scenari di morte e dolore.

Support and Sustain Children con sede a Verdellino, in provincia Bergamo, è una di queste, ed è presente sul campo a Gaza con progetti di emergenza.

«Dopo oltre 15 mesi di devastazione, la popolazione palestinese non ha solo bisogno che le bombe smettano di cadere, – scrive la onlus in un comunicato – Oggi, i civili di Gaza affrontano una carenza totale di cibo, acqua e medicinali, in mezzo a macerie e devastazione.

Secondo le Nazioni Unite, a Gaza si contano oltre 800mila tonnellate di detriti contenenti amianto e 7.500 tonnellate di ordigni inesplosi.

Alcuni dei nostri collaboratori sono stati uccisi.

Altri, feriti, hanno dovuto abbandonare le aree dove la popolazione cerca rifugio».

Un inferno in terra all’interno del quale i bombardamenti sono continui:

«stiamo distribuendo aiuti con mezzi di fortuna, a volte persino con carretti – racconta la presidente di Support and Sustain Children, Arianna Martini È una situazione disumana.

I bambini sono affamati, deboli. Durante l’inverno abbiamo distribuito giubbotti per proteggerli almeno dal freddo. L’emergenza umanitaria è enorme».

E prosegue: «in questi mesi drammatici per la Palestina la popolazione civile è allo stremo: non c’è cibo, non c’è acqua, gli aiuti umanitari vengono sistematicamente bloccati, e quelli che riescono a entrare sono del tutto insufficienti.

È un crimine contro l’umanità».

Arianna Martini racconta che i volontari e gli operatori «camminano per ore sotto il sole cocente alla ricerca di cibo e acqua per i nostri progetti visto che acquistiamo tutto nel mercato interno, come naufraghi in un mare di desolazione.

Mangiano a giorni alterni, quando possono.

Ieri il nostro field coordinator ha pianto. Era pronto a rientrare nella Striscia. Ci ha detto: ‘Gli uomini verranno ammazzati, siamo già morti che camminano’.

La sua voce, rotta dal terrore, ci ha spezzato il cuore. Eppure ha aggiunto: ‘Continuiamo. Dobbiamo portare aiuti a chi non ha nulla’.

Ogni passo è un atto di coraggio. Ogni briciola di pane consegnata è un gesto d’amore. E mentre la morte sembra inseguirli, loro non si arrendono».