Guerra in Medio Oriente: dalle missioni voci di sgomento, dolore e speranza

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Chi tra i missionari vive nell’Africa colonizzata e abusata, dentro contesti di guerra permanente, o in Paesi del Medio Oriente da ricostruire, come la Siria, sente tutta l’unicità e (l’emergenza) di questo momento storico.

Lo sgomento e il dolore per l’espansione del conflitto da Gaza all’Iran è condiviso ad ogni latitudine.

Dai nostri missionari arriva però anche l’invito a non perdere la speranza.

«Con i giovani nelle missioni di Don Bosco in Siria ricostruiamo dalle macerie, e cerchiamo di educare ad un futuro di cittadinanza e convivenza», dice da Aleppo padre Pier Jabloyan direttore della comunità salesiana in Siria e delegato per la comunicazione dell’Ispettoria del Medio Oriente.

«Capiamo bene che questo è un momento drammatico per tutto il Medio Oriente: dopo 15 anni di conflitto siriano, nel quale siamo stati pienamente immersi, abbiamo una certa abitudine alla guerra. I giovani la chiamano “l’ingiusta normalità”.

Però mai avevamo avuto la percezione di essere così circondati da guerre combattute intensamente nel tempo e nello spazio».

Persino nel caos siriano, dice padre Pier «c’erano delle tregue, delle interruzioni».

Mentre questi conflitti, dalla Palestina all’Iran, sono «senza soluzione di continuità».

«Adesso sembra proprio che tutti i territori intorno a noi siano in pieno conflitto – spiega – è come se la distruzione che abbiamo vissuto in precedenza in Siria, fosse servita a preparare questo momento qui, il vero nodo», la resa dei conti finale.

«A nome di tutti in Siria dico che desideriamo un Medio Oriente allargato tranquillo e in pace, che includa il più possibile e che non escluda nessuno, dal punto di vista religioso, etnico e di diritti».

La motivazione della guerra è sempre la «non accettazione dell’altro», spiega il salesiano.

In Siria, «usciamo da un’epoca di governo totalitario: la gente desidera un cambiamento radicale e dignità umana.

Tutti, cristiani, islamici e di altre fedi, vogliono stare in un Paese che assicuri loro dignità».

Alle sue parole fanno eco quelle di suor Loretta Baldelli dal Marocco, che prova «impotenza e dolore» per il Medio Oriente.

«E’ inaccettabile – dice – che pezzi di guerra vengano decisi e programmati da Israele con orribile freddezza, solo per interessi personali ed economici.

Provo forte indignazione, sgomento e rabbia. 

Siamo costernate, noi tutte Francescane Missionarie d’Egitto a Tangeri, ma c’è ancora spazio per la speranza che non delude.

La nostra preghiera e il nostro impegno continuano incessanti con la certezza che il male sarà sempre sconfitto da semi di bene».

Da un’Africa ancora più profonda, quella della Repubblica Centrafricana, e più precisamente da Bangui, suor Elvira Tutolo delle missionarie di Giovanna Antida Thouret, ci spiega quanto sia difficile già solo affrontare una quotidianità fatta di malgoverno, corruzione e violenza in Africa.

«Il mondo non ha bisogno di ulteriori fronti di guerra – dice – Bastano quelli già aperti qui.

A Bangui non abbiamo uno Stato di diritto, la corruzione e la violenza dilagano, i gruppi armati pure e i giovani non hanno nulla. Avviare qualsiasi progetto costa soldi e bisogna pagare delle tangenti».

Il Paese è ancora molto frammentato, diverse aree sono sotto il controllo di gruppi armati che si scontrano con le forze governative.

Pochi giorni fa anche i vescovi del Centrafrica hanno scritto: «non è il momento della guerra, ma del dialogo! Non è più il momento della violenza, ma dell’ascolto».

Dallo Zambia il comboniano padre Antonio Guarino dice:

«tutti sappiamo bene che basta poco per riportare la pace in Medio Oriente ma non la si vuole e questo è il grosso ostacolo, chi potrebbe dare una mano per uscire dal tunnel non la dà.

La tragedia di Gaza va bene a tutti: noi continuiamo a pregare ma il Signore ci lascia liberi di scegliere. Di fare il bene o il male e anche di essere strumenti di pace.

Solo lui può toccare il cuore di chi ha iniziato la guerra».