Rozzano: verdure bio e luppolo contro povertà e disoccupazione

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Rozzano, nell’interland milanese, è tra i comuni lombardi più colpiti da disoccupazione, disagio economico e nuove povertà, aggravate dalla pandemia.

Basti pensare che dal 2019 al 2020 le richieste d’aiuto e assistenza alimentare in quattro comuni della zona, tra cui Rozzano e Corsico, sono aumentate del 95%, passando da 671 famiglie bisognose di aiuto a 1151.

Ma Rozzano è anche il comune scelto da una serie di associazioni in rete con la Caritas, per un progetto agricolo molto ambizioso. Alla Cascina sant’Alberto si sperimenta un’agricoltura sociale e bio che dà lavoro ai giovani.

Con le mani nella terra e il desiderio di vederla germogliare ci sono una ventina di ragazzi tra i 20 e i 22 anni, pagati il giusto prezzo e diventati soci della cooperativa che realizza il progetto.

«In questo momento siamo nella fase di piantumazione dei germogli dopo le gelate – ci racconta Luigi Rigamonti, responsabile di Madre Terra Società Cooperativa Agricola – L’obiettivo è quello di rigenerare l’area, coltivare prodotti bio e far lavorare i ventenni al primo impego, che sono anche soci».

Su 13.500 mt2 di terreno già da alcuni anni (ma dopo la pandemia ancora di più), si fa rigenerazione territoriale con le serre, i filari di luppolo, le piantine di melanzane e pomodori; promuovendo la formazione professionale e il consumo critico.

Ma la bellezza del progetto sta nella collaborazione trasversale: i ruoli spesso si invertono e chi si occupa di vendita o di relazione con i Gruppi di Acquisto Solidale, partecipa anche alla coltivazione del terreno. E viceversa.

«Assieme a questi ragazzi seguiamo ogni momento dell’attività: dalla coltivazione di zucchine alla raccolta del luppolo all’imbottigliamento della birra artigianale. Adesso stiamo piantando insalatine per dare movimento al raccolto», spiega Luigi.

Il progetto nasce dall’unione di Acra, Madre Terra Società Cooperativa agricola, la Fondazione Le Vele e il distretto di Economia solidale del Parco Agricolo Sud di Milano.

Ma c’è dentro anche la diocesi di Milano, grazie a don Massimo Mapelli, sacerdote simbolo dei presidi dell’antimafia nel milanese, che ha sognato una rigenerazione umana e territoriale.

L’idea è quella di creare un modello che funzioni per contrastare povertà e disoccupazione anche in città, in modo che lo si possa replicare anche altrove.

«Israel è un ragazzo peruviano che lavora con noi ed è socio della Cooperativa Madre Terra, poi ci sono due ragazzi egiziani ed altri ex minori non accompagnati.

Tutti vengono affiancati da un coordinatore: questo è un lavoro che a loro piace perché dà soddisfazione ed è l’opposto di quello dei braccianti pagati a cottimo e sfruttai per pochi euro.

Noi stipuliamo contratti totalmente regolari che permettono a tutti i soci lavoratori di ricevere un salario degno», spiega Rigamonti.

«Io dico sempre che siamo una grande famiglia, ognuno col suo compito – dice – Il luppolo noi lo raccogliamo e lo portiamo ai maestri artigianali che hanno un birrificio e loro co preparano le nostre bottiglie di birra con la nostra etichetta. La passata di pomodoro invece la facciamo noi nel nostro laboratorio.

La Cooperativa Madre Terra è nata cinque anni fa per esigenza di don Mapelli di far lavorare i ragazzi, minori non accompagnati, che lui già accoglieva nella casa-famiglia Una Casa anche per Te.

Un esempio perfetto di come si possa chiudere il cerchio di un’economia sana, integrando lavoro dei campi, giusta retribuzione e consumo consapevole.

(Questo articolo è il terzo della serie di reportage dalla diocesi di Milano. Clicca qui per leggere il primo).