Nord Kivu ancora sotto assedio militare, tra fame e furti di coltan

Il comboniano Gaspare Trasparano ci racconta l'inferno dell'Est del Congo. Perchè le forze Onu non intervengono?

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Da quando il nostro ambasciatore Luca Attanasio è stato ucciso (assieme alla sua guardia del corpo e all’autista), lungo la strada per Goma, si parla sempre meno (fatta eccezione per il vulcano Nyiragongo ) dell’Est del Congo.

Ma la regione continua ad essere soggetta a continue incursioni armate e per questo da oltre un mese è in mano ai militari.

«Qui nel Nord Kivu le cose si sono ulteriormente aggravate, viviamo continuamente con la paura di morire, è un inferno».

A raccontarcelo, in questa intervista al suo arrivo a Roma, presso la casa dei Comboniani di via Lilio, è padre Gaspare Ttrasparano, missionario che vive proprio a Beni, nel Nord Kivu.

Dal 6 maggio scorso le province dell’Ituri e del Nord Kivu nell’Est del Paese, sono completamente in balia dell’esercito, poichè il presidente Félix Tshisekedi, appellandosi all’articolo 85 della Costituzione, ha imposto la legge marziale.

La violenza senza fine delle milizie armate e l’eruzione del vulcano hanno fatto scattare «lo stato d’assedio militare». Ma anche questo non basta. L’ingovernabilità e l’insicurezza rendono questo territorio un inferno. E anche i comboniani rischiano la vita.

Il sospetto è che «i militari stessi siano conniventi con i miliziani e responsabili di violenze contro i civili», spiega il missionario, parlandoci di un report recente che confermerebbe  il sospetto.

«I massacri continuano sistematicamente e adesso siamo alla fame – ci racconta padre Gaspare-  : la gente è scappata dai campi, non ha potuto più coltivare, non arrivano neanche le mercanzie dall’Uganda perchè le strade sono insicure. Il vescovo di Butembo-Beni ha denunciato di recente che siamo oramai alla fame».

Il motivo per cui l’Est del Paese è ‘cannibalizzato’ rimane uno soltanto: «le ricchezze del suolo, soprattutto il coltan. Tutti vogliono mettere le mani sul coltan. Sull’oro e sui diamanti». dice il missionario.

In questo video, che riporta parte della lunga intervista, padre Gaspare parla di ‘balcanizzazione’ e commercio di coltan, facendo riferimento ad un business allargato. Per vederlo clicca qui. 

«Voi dovete immaginare che nel territorio di Beni, sulla strada che va verso l’Uganda e su quella che sale verso il Nord Kivu, a ogni metro c’è un campo militare congolese, e lì, proprio lì avvengono i massacri! Ci sono poi cinque-sei basi della Monusco, la missione dell’Onu e anche lì avvengono i massacri».

La Monusco, la missione di peacekeeping delle Nazioni Unite è congelata, «non interviene e l’accusa della gente è che sia coinvolta nelle violenze, ma soprattutto che i suoi soldati partecipino al traffico di materie prime».

Secondo la Chiesa locale congolese e secondo i missionari –  che confermano quanto pensa la società civile – «il progetto è arrivare alla balcanizzazione: ossia occupare quel territorio e annetterlo all’Uganda e al Rwanda», dice padre Gaspare.

«Il popolo Nande che abita queste regioni è preso di mira: stanno sostituendo la popolazione con gli Hutu: è in corso un genocidio».

Nel mese di aprile ci sono state tre settimane di scioperi e manifestazioni a Goma e a Beni: ad organizzarli c’era Lucha, movimento della società civile congolese. L’obiettivo era protestare contro la Monusco, per la sua connivenza.

«Durante quelle settimane non siamo potuti uscire di casa. Hanno bruciato anche l’ufficio del Comune e la gente infuriata ha rotto i vetri di casa nostra; volevano entrare da noi perchè pensavano che noi nascondessimo gente della Monusco», racconta il missionario.

«Poi uno studente amico nostro li ha fermati e ha spiegato che noi siamo i padri comboniani. Ma noi capiamo: la gente è stanca, molto stanca di tutto questo».

Padre Gaspare tornerà di nuovo a Beni dopo il 20 giugno.