Mine anti-uomo, ancora una minaccia in tutto il mondo

Ad oggi non hanno aderito al Trattato ancora 32 Paesi, tra i quali Stati Uniti, Cina, Russia, Israele.

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Malgrado il Trattato di Ottawa che dal 1992 sancisce la messa al bando internazionale delle mine antiuomo, decine di milioni di questi ordigni sono sparsi nei territori di Paesi di tutti i continenti.

In particolare Asia e Africa detengono il triste primato di vittime di esplosioni che procurano morte e mutilazioni a molti civili, in gran parte bambini.

Le mine: strumenti di morte che uccidono più civili che soldati.

Gli accordi di pace possono fermare altre armi, ma questi ordigni protraggono per decenni le uccisioni e causano nel mondo oltre seimila morti e un numero di mutilati che raddoppia la cifra. Il 90% sono civili, per metà bambini.

Nel messaggio Urbi et Orbi di Pasqua, lo scorso 4 aprile, ne ha parlato (e non per la prima volta) papa Francesco, ricordando che in quella data si celebra la Giornata mondiale per l’azione contro le mine, e ha ribadito, citando san Giovanni Paolo II, che impediscono all’umanità di «camminare assieme sui sentieri della vita, senza temere le insidie di distruzione e di morte».

Nel 1997, l’Assemblea generale dell’Onu varò un’apposita agenzia, dopo che era stata la società civile a mobilitarsi per metterle al bando. In questo caso fu l’International Campaign to Ban Landmines (ICBL) fondata nel 1992 da una coalizione di organizzazioni non governative, per iniziativa soprattutto della sua coordinatrice, la statunitense Jody Williams, Premio Nobel per la Pace nel 1997.

In quell’anno fu l’ICBL a organizzare il Trattato di Ottawa, che impegna i Paesi firmatari a proibire uso, immagazzinaggio, produzione e vendita delle mine, nonché a distruggerle.

Sottoscritto il 3 dicembre da 122 governi, il trattato entrò in vigore meno di due anni dopo.

Ad oggi non vi hanno aderto 32 Paesi, tra i quali Stati Uniti, Cina, Russia, Israele.

L’Italia, fino agli anni Novanta tra i maggiori produttori di tali ordigni, ha firmato e ratificato, ma si è fermata lì, come per altre convenzioni internazionali – si pensi a quella contro la tortura – e non si è mai arrivati a una legge sull’argomento.

Sempre il 4 aprile scorso, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha auspicato che «il Parlamento italiano possa giungere presto a una nuova deliberazione legislativa, coerente con i principi costituzionali, per contrastare con efficacia anche il sostegno alle imprese produttrici».

Secondo l’ultima edizione, lo scorso novembre, del Landmines Monitor, il rapporto annuale dell’ICBL, gli Stati aderenti al trattato hanno distrutto oltre 55 milioni di mine presenti negli arsenali, ma quasi certamente non sarà raggiunto l’obiettivo di completare l’opera entro il 2025.

Campagne di sminamento

Ma svuotare gli arsenali non è il maggior problema da risolvere, anche se eserciti e gruppi armati continuano a usare le mine in diversi conflitti. Nonostante le campagne di sminamento in atto quasi ovunque, nel mondo restano infatti in agguato almeno cento milioni di ordigni inesplosi.

Le situazioni peggiori sono in Medio Oriente e più in generale in Asia. In Afghanistan ogni anno uccidono in media 1.700 persone.

Tra i Paesi più contaminati c’è l’Iraq, dove nel solo Kurdistan ci sono già state oltre seimila vittime. Qui l’opera di sminamento negli ultimi anni ha rallentato e secondo stime recenti di questo passo per bonificarlo del tutto ci vorranno 300 anni.

Anche in Siria restano tra le principali minacce, soprattutto per i bambini. In analoga condizione è lo Yemen, dove hanno causato numerose vittime civili e impediscono agli sfollati di tornare nelle loro case.

Nel continente americano il problema più grave è in Colombia, dove è particolarmente significativo l’impegno della Chiesa locale che nel 2016, in collaborazione con la Campagna colombiana contro le mine, ha avviato un progetto per ridurre il rischio di incidenti.

In Africa, la situazione peggiore è in Mali, Somalia e Nigeria, ma è difficile anche in Eritrea, Egitto, Sudan e Zimbabwe, mentre in Mozambico è stata annunciata la completa bonifica e in Angola è avanzata.

In Europa, negli ultimi anni le mine hanno contaminato l’Ucraina orientale, in un’area dove oltre 200mila bambini sono a rischio perché vivono, giocano e vanno a scuola in zone che ne sono infestate. In Croazia e Bosnia ed Erzegovina sono ancora presenti nel 2% del territorio.

Tra l’altro, questa primavera una mina ha ucciso un giovane pakistano e ha ferito una decina di persone nella foresta croata di Saborsko, al confine bosniaco, funestando ancor più la drammatica situazione dei profughi bloccati da mesi a quella frontiera.

(Il dossier completo sulle mine anti-uomo, da cui questo articolo è tratto, è contenuto nel numero di luglio-agosto di Popoli e Missione).  

Foto: wikipedia.