Honduras, in fuga verso il sogno americano

Carovane di uomini, donne e soprattutto minori cercano in ogni modo di abbandonare il Paese allo stremo.

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Si tratta di una vera lotta per la sopravvivenza come spiega il segretario per l’America Centrale della Comunità di Sant’Egidio, Giovanni Impagliazzo.

La prima carovana di migranti diretta in America dopo l’era Trump è partita da San Pedro Sula il 15 gennaio scorso.

Cinquecento persone pronte ad un viaggio difficilissimo si erano incamminate nella speranza che il neo presidente Biden allentasse le rigide misure anti immigrazione del suo predecessore.

Lungo il percorso che dall’Honduras si snoda verso gli Stati Uniti d’America si sono unite al gruppo almeno altre cinquemila persone, otto-novemila secondo alcuni media locali.

Uomini, donne, bambini in fuga da un Paese allo stremo. La decisa reazione dell’esercito del Guatemala ha mandato il fumo il sogno di questi migranti ma ha, perlomeno, riportato l’attenzione della politica internazionale su questo dramma del nostro tempo.

«L’emigrazione verso gli USA è una vera e propria lotta per la sopravvivenza – spiega Giovanni Impagliazzo, segretario della Comunità di Sant’Egidio per l’America Centrale -. Circa 300mila honduregni sono fuggiti negli Stati Uniti nel 2019, in un contesto di crescenti misure anti immigrazione, ma l’Osservatorio sulle Migrazioni Internazionali in Honduras ha registrato il ritorno di circa 110mila persone, espulse anche dal Messico, di cui 25mila bambini».

L’Honduras è uno dei Paesi più poveri del continente americano, con il 40% della popolazione in situazione di povertà estrema e il 70% in povertà relativa; con un sistema economico praticamente inesistente e dove circa il 65% della popolazione vive di economia informale (venditori in strada di frutta e verdura, acqua, vestiti, cd contraffatti e altra merce pirata) e un clima che, periodicamente, torna a mettere in ginocchio il Paese.

Nell’autunno scorso due cicloni, prima l’Eta e poi lo Iota, si sono abbattuti sull’Honduras ad una settimana di distanza l’uno dall’altro. Una micidiale doppia ondata che in tempi recenti non si era mai vista.

«Il Paese è veramente uno dei più poveri dell’America centrale e con un alto tasso di criminalità legata al traffico di droga – prosegue Impagliazzo -. Anche l’attuale presidenza vi è implicata. Il fratello dell’attuale presidente, Juan Antonio Hernandez, deve scontare 30 anni di carcere negli Usa per traffico di cocaina.

Dopo l’arresto, gli Stati Uniti hanno dimostrato che cinque milioni di dollari erano andati alla campagna elettorale del fratello. In tale contesto anche la Chiesa fa fatica a far sentire la sua voce ed infatti si registra un notevole aumento della presenza delle sètte nei quartieri più poveri e periferici delle grandi città».

Da qui gli esodi biblici di questi anni. Si riuniscono a migliaia per farsi forza l’un l’altro, per attirare l’attenzione sulla loro situazione e sfuggire alle bande di criminali che nel Messico sono solite attaccare i migranti.

Li attendono sui binari della ferrovia che attraversa il Chiapas e li rapiscono a decine, anche con la complicità delle forze di polizia locali.

«Le bande criminali messicane non sono ramificate su tutto il territorio nazionale – racconta Impagliazzo -. Ogni Stato della Federazione messicana ha le sue. Non si deve pensare alle mafie nostrane, qui sono una realtà polverizzata, controllano piccole parti del territorio ed è per questo che i migranti sono costretti a pagare i vari gruppi ogni volta che entrano nel territorio che questi controllano».

L’avvento della presidenza Biden negli USA ha spinto molti honduregni che vi risiedono a far partire i figli, così come i guatemaltechi ed i salvadoregni, ed in pochissimo tempo si sono messi in marcia a migliaia per un viaggio pieno di difficoltà, attraverso il Guatemala prima ed il Messico dopo, con le bande criminali, le Maras, che cercano di fargli pagare il passaggio, rapinarli, rapirli o peggio.

«Il viaggio arriva a costare cinque- seimila dollari a minore e le famiglie si indebitano per permettere la partenza. Lungo le strade che li portano in America, la Chiesa cerca di accogliere questi ragazzi. Sono sorti degli alberghi di sosta accanto a tante parrocchie, strutture “leggere” che li accolgono per tre o quattro giorni, il tempo di un ristoro prima di riprendere il viaggio.

Non tutte le diocesi si sono ancora attrezzate ma c’è un sacerdote, padre Alejandro Solalinde, che ha creato l’associazione Hermanos en el camino che da gennaio ne ha accolti 350 e che insieme a noi cerca di far raggiungere nel minor tempo possibile gli Usa a questi minori».

La Comunità di Sant’Egidio è presente da dieci anni in Honduras – nella capitale Tegucigalpa e a San Pedro Sula -, con circa 120 volontari e 400 sostenitori.

Oltre al sostegno ai giovani migranti, ha realizzato anche qui le Scuole della Pace per sostenere l’alfabetizzazione e la socializzazione di giovani che vivono in situazioni di degrado e che rischiano di lasciare la scuola; offre poi sostegno a persone che vivono in strada – vittime di violenza, con problemi di alcolismo o disorientamento mentale, anziani allontanati dalle famiglie – con la distribuzione di pasti caldi e generi di prima necessità; e da ultimo c’è anche un servizio di assistenza e compagnia agli anziani che vivono negli istituti.

«Di fronte a tanta povertà è facile scoraggiarsi – chiude Impagliazzo -, credere che non si possa incidere più di tanto, ma siamo convinti che, se è vero che chi salva una vita salva il mondo intero, bisogna aiutare anche la singola persona a ritrovare la propria dignità, a credere nella solidarietà ispirata dal Vangelo.

In questa democrazia fragile la gente non crede che la società possa cambiare e nel mondo giovanile l’attrazione dell’immigrazione è fortissima, ma per tanti altri la comunità rappresenta la speranza di poter migliorare la realtà lì dove si vive e che si possa realizzare questo cambiamento insieme agli ultimi».

(Questo articolo è stato pubblicato sul numero di luglio-agosto di Popoli e Missione).