Russia al voto, Putin contro (quasi) tutti

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La Russia va al voto tra il 17 e il 19 settembre. Sul piano internazionale Putin sta intensificando da mesi la sfida ai suoi avversari. Soprattutto agli Stati Uniti. Continua anche la corsa all’Artico.

Con l’Unione europea la risposta russa alle ultime sanzioni, relative alla vicenda dell’oppositore in carcere Alexiei Navalny, è stata durissima sul piano diplomatico con la dichiarazione di persone non gradite per importanti rappresentati europei, compreso il presidente del Parlamento di Strasburgo, Davide Sassoli.

La corda si tende sempre più anche con la Turchia di Erdoğan non solo sulla questione azero-armena, ma anche sugli scacchieri vicino orientali e nordafricani, in particolare Siria e Libia.

Ma l’aspetto più rilevante è quello dei rapporti tra Russia e Stati Uniti, tornati a sembrare da guerra fredda dopo che il nuovo presidente Joe Biden lo ha definito un assassino, proprio riguardo alle mai chiarite morti o scomparse di esponenti dell’opposizione russa.

Né a spiegare le affermazioni del presidente statunitense bastano motivi di politica interna, con l’implicito riferimento ai rapporti (anch’essi mai chiariti) tra il suo predecessore Trump e lo stesso Putin, da più parti accusato di ingerenze e manipolazioni, più o meno comprovate, nelle ultime elezioni presidenziali statunitensi.

In ogni caso, toni tanto accesi non c’erano stati neppure all’epoca in Ucraina della cosiddetta Euromaidan (letteralmente Europiazza, in riferimento alla volontà dell’allora opposizione di avvicinarsi all’Unione europea), cioè l’inizio nel 2013 della crisi appunto in Ucraina, prima con la repressione delle manifestazioni di dissenso e poi con lo scoppio di una sorta di guerra civile, con il coinvolgimento di truppe russe, ma anche con il passaggio di fatto dell’Ucraina dalla sfera d’influenza russa a quella occidentale.

Proprio quella vicenda, tuttora irrisolta, è all’origine del sistema di sanzioni occidentali, al quale il presidente russo sembra deciso a rispondere in duramente. Le affermazioni di Putin in aprile, durante il discorso al Parlamento russo sullo stato della nazione, con l’indicazione di una “linea rossa” da non varcare indicata ai suoi avversari, lasciano pochi dubbi in merito.

Tuttavia, mostrare i muscoli non significa necessariamente considerarsi dotato abbastanza da sfidare quelli di tutti gli altri, come Putin sa benissimo. Di qui, la necessità di percorrere comunque le strade della diplomazia.

Ma anche in questo il presidente russo persegue una strategia che nell’attuale contesto mondiale lo pone su posizioni di contrasto tanto con l’Unione europea quanto con la nuova amministrazione di Washington, decise entrambe a privilegiare un multilateralismo indispensabile ad affrontarne le sfide.

Di contro, Putin continua a puntare sui rapporti bilaterali, praticamente con tutti e in particolare proprio con gli Stati Uniti, cioè non solo quando opera da una posizione di forza, ma anche quando deve confrontarsi con interlocutori di peso pari se non maggiore. A partire proprio dagli Stati Uniti.

Più complesso sembra invece stemperare le tensioni sui “fascicoli caldi” da quasi un decennio, a partire proprio dall’Ucraina, con la crisi nella regione del Donbass – inaspritasi quest’anno in modo inquietante e sulla quale, per inciso, fonti concordi ipotizzano persino una possibile mediazione della Santa Sede – e alla collegata prospettiva dell’allargamento a Est della Nato, ma anche le situazioni nel Mar Nero, nel Mediterraneo, e nell’Artico.

Di quest’ultima regione la stampa mondiale parla poco, ma non per questo è tra le meno importanti nei rapporti internazionali e in essi della sfida di Putin alle altre potenze, in questo caso compresa la Cina della quale la Russia è da almeno 20 anni partner strategico per altri molteplici aspetti, soprattutto tecnologie, ma non solo.

L’Artico fa gola a tutti per due motivi. Il primo perché è tra le regioni con le maggiori risorse energetiche al mondo, con il 13% dei giacimenti di petrolio e un terzo del gas naturale del pianeta. L’altra ragione, forse meno nota, è perché si tratta di una via strategica che vede in competizione un po’ tutti e scombina diverse alleanze, compresa quella tra Russia e Cina, ma anche quella tra Stati Uniti e Unione europea.

All’Artico, che non ha terre emerse, si arriva solo per mare. Le rotte sono due, il cosiddetto Passaggio a Nord-Ovest e Rotta del Mare del Nord. Entrambe passano per lo stretto di Bering tra la Siberia russa e l’Alaska statunitense. Ma in materia di controllo della regione la sproporzione tra i due competitori è massiccia.

All’inizio dell’anno si è saputo di un piano stilato dal Pentagono denominato Regaining Arctic dominance (Riconquistare il dominio sull’Artico, ndr) che ipotizza un massiccio spiegamento militare. Ma indipendentemente dal titolo pretenzioso (gli Usa non hanno mai avuto il dominio sull’Artico, neppure all’epoca in cui in Russia c’erano gli zar), basta dare un’occhiata a un mappamondo per capire che la Russia è comunque in netto vantaggio.

(Una versione completa di questo articolo è stata pubblicata sul numero di luglio-agosto di Popoli e Missione).

La foto di Alexey DRUZHININ / SPUTNIK / AFP