Mozambico: gli “arraffa terre” crescono. Storie di land grabbing

Facebooktwitterlinkedinmail

Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Anzi. Il vizio si perfeziona. Così le tecniche di land grabbing, letteralmente “accaparramento di terra”, stanno diventando sempre più sofisticate e subdole in Africa.

Governi, grandi aziende locali e multinazionali si alleano in nome del profitto, e puntano ad usare l’arma della manipolazione (e della seduzione) per cooptare la società civile.

Ecco allora che un progetto “arraffa terra” come quello del Consorzio ProSavana in Mozambico, mutuato dai ladri di terra brasiliani, si insinua nel tessuto sociale, trovando aimè sostenitori proprio tra chi dovrebbe per primo combatterlo: ong, organizzazioni dei diritti civili, leader locali.

E non si tratta sempre di piccoli soggetti: il WWF, ad esempio, in questa partita, è sotto accusa. Com’è possibile?

A spiegarci cosa sta accadendo nella diocesi di Nampula, nel Nord del Mozambico, sono due convintissimi oppositori del land grabbing: un’agguerrita comboniana, suor Rita Zaninelli di Giustizia e Pace, e un navigato attivista mozambicano, Jeremia Vunjanhe.

Li raggiungiamo in una conference call via skype: la prima cosa che ci chiedono è collaborazione e aiuto per rendere sempre più professionale l’opposizione ai land grabbers.

«Nel giugno 2014 le organizzazioni mozambicane lanciarono ufficialmente un movimento di opposizione al ProSavana con l’obiettivo di resistere all’avanzamento di quel progetto d’investimento teso ad usurpare la terra ai contadini», dice Jeremia spiegandoci l’antefatto.

Questa Campagna popolare della società civile è universalmente nota come Nao ao ProSavana. E all’inizio ha funzionato bene, tanto che i contadini a più riprese hanno detto no alle lusinghe del governo.

Dal 2014 ad oggi, però, la strategia del Consorzio a tre (sono coinvolti i governi di Brasile, Giappone e Mozambico) è cambiata parecchio.

Le tecniche di comunicazione sono più sottili: penetrano nel tessuto sociale frammentando l’opposizione.

La sintesi è che le grandi multinazionali stanno avendo la meglio.

Tutto inizia quando il Ministero delle politiche agricole e della sicurezza alimentare di Maputo dichiara la concessione di 102mila chilometri quadrati di terra arabile al Consórcio ProSavana, costituito da imprenditori mozambicani, giapponesi e brasiliani.

Queste terre fertilissime si trovano nella regione settentrionale del Paese, in particolare nelle province di Nampula, Lichinga e Zambezia, dove vivono circa quattro milioni e 200mila persone.

Per convincere i contadini della bontà del mega-progetto di agro business industriale, il ministro dell’Agricoltura di Maputo lascia intravedere ai piccoli agricoltori la possibilità di diventare produttori intensivi di soia market oriented, cioè aperti al mercato.

I moderni latifondisti, in accordo con i governi, si rifanno anche all’antico divide et impera. E così se la Lega mozambicana dei diritti umani, il Forum delle donne, La Marcia Mondiale delle donne, gli Amici della Terra, varie organizzazioni ambientaliste e l’Unione provinciale dei contadini del Mozambico sono contro il mega progetto, le altre iniziano a schierarsi con il Consorzio nippo-brasiliano. Allettate dalla promessa di sviluppo.

La piattaforma delle Organizzazioni della Società civile di Nampula, il Forum delle Ong di Niassa e il Forum delle Ong dello Zambesi stanno con ProSavana. Il WWF è l’ultima novità. «L’obiettivo intermedio era dividere il popolo e ci sono riusciti. Hanno confuso la società civile», spiega anche suor Rita. «Sono riusciti a frammentarla. Hanno creato un conflitto», ripete la comboniana.

Di mezzo c’è una società di consulenza e comunicazione che ha proprio il ruolo di “mediare” con la base: si chiama Consorzio Majol. Tanto che il 7 marzo 2016 il movimento Nao ao ProSavana, di cui fa parte anche Giustizia e Pace, ha denunciato il coinvolgimento del WWF nel Pro-Savana.

«Abbiamo verificato l’esistenza di un’alleanza tra il WWF e una società di consultazione chiamata Majol, contattata dai proponenti del ProSavana per fare da intermediari tra questo e la società civile mozambicana», si legge.

«Il ProSavana è la replica di quello brasiliano», spiega Jeremia. Lì ha avuto pieno successo, qui ancora è sotto attacco. La storia si ripete. Di mezzo c’è sempre un governo che vuol fare soldi con altri governi, sulla pelle dei poveri: il che significa la fine dell’agricoltura domestica e famigliare, delle piccole comunità e delle coltivazioni diversificate.
«L’avanzamento del ProSavana rappresenta un ritorno delle compagnie coloniali. C’è una comunità a Nampula che ha già subito l’espropriazione di oltre duemila ettari di terra da parte di un’impresa che fa parte del ProSavana e vuole produrre soia», spiega Jeremia.
E la Chiesa locale che fa? Chiediamo alla comboniana Rita. «A dire il vero, la Chiesa cattolica in Mozambico è in maniera informale contro ProSavana, nel senso che missionari, parroci e diocesi sostengono i contadini» ma, spiega suor Rita, manca un vero e proprio coinvolgimento ufficiale della Conferenza episcopale mozambicana a favore della Campagna Nao ao ProSavana.
Un documento esiste ed è stato stilato dal Secam (Simposio delle conferenze episcopali di Africa e Madagascar), dal Cidse e dall’Africa Faith and Justice network alla Conferenza di Limuru (Kenya, 22-25 novembre 2015). Il motto è: «Our land is sacred, our land is our life, our land is not for sale» (la nostra terra è sacra, la nostra terra è la nostra vita e non è in vendita). Traccia una strategia di lotta contro il land grabbing. Ma al Mozambico servirebbe tutto il sostegno dei suoi vescovi. Cosa che finora non è avvenuta.
Suor Rita dice che in futuro probabilmente, chi dentro la Chiesa in Mozambico vuole combattere il programma ProSavana farà rete con i movimenti dei diritti umani trasversali e internazionali. Perché questa è una battaglia globale e molto determinante: il tempo passa e i poveri non possono più aspettare.
«La buona volontà non è sufficiente – dice Rita – Come Giustizia e Pace noi sappiamo che il modo più qualificante e più efficace di vincere questa battaglia, è tecnico. Stiamo lottando per poter avere un giurista nella nostra squadra e anche un comunicatore professionista perché la disinformazione è terribile. Ci vorrebbe una rete». Suor Rita sa che il cammino è sempre più trasversale e che sarà sempre più laico.

Majol e WWF in combutta?
Majol Consultaria e Serviços è un’azienda mozambicana ingaggiata dall’Agenzia di Cooperazione Giapponese (JICA) con l’obiettivo di «creare un meccanismo di dialogo e coordinamento tra il governo e le organizzazioni della società civile, onde poter elaborare una road map per prendere decisioni congiunte sulle questioni rilevanti del ProSavana».

Questo è quanto sostiene il panel di ong schierate coi governi nippo-brasiliano-mozambicano. Si tratta di uno dei classici esempi di ingannevole cooperazione Sud-Sud: dove si promette sviluppo tra agenzie governative di Paesi del Sud (nel caso di Brasile e Mozambico) e società civile, ma poi si procede con una visione liberista orientata alla sola speculazione per pochi.

Negli ultimi mesi anche il WWF è sotto accusa. Scrive la campagna Nao ai ProSavana che «il Wwf agisce sia come organizzazione realizzatrice di progetti propri, che come donatore, e usurpa gli spazi di dibattito pubblico usando la sua influenza e il potere di manipolare i processi di discussione su questioni di interesse nazionale, come ad esempio ProSavana, esacerbando le differenze di opinione tra le organizzazioni nazionali.

E’ interessante notare che la Campanha Não ao Prosavana è stata accusata di difendere interessi stranieri. E’ il caso di mettere in discussione quali siano gli interessi che difende il WWF?». L’accusa che si rivolge alle ong cooptate da Majol è che esse non dialogano ma dividono. Uno dei meeting organizzati da Majol &Company (11-12 gennaio 2016) è stato attentamente monitorato dalla Campagna Nao ao ProSavana.

Il risultato è che gli attivisti hanno denunciato varie irregolarità: gli organizzatori dell’evento avrebbero convocato solo una parte della società civile e avrebbero anche attaccato due attivisti dell’Unione nazionale dei coltivatori. Una strategia questa che mina dall’interno la forza e la capacità di reazione della base.