Mongolia, tra i bambini di Ulan Bator ai tempi del Covid

Con le Figlie di Maria Ausiliatrice nella Casa di Don Bosco

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«Quest’ anno a causa della pandemia di Covid 19, presso la “Casa Don Bosco” di Ulan Bator abbiamo pochi bambini rispetto al solito».

Suor Agnes Gangmei viene dall’India e racconta la sua vita di missionaria in Mongolia nella comunità delle Figlie di Maria Ausiliatrice, composta da quattro missionarie (oltre lei, due della Corea del Sud e una giapponese) che da sei anni si occupano di un centinaio di bambini nella scuola materna, circa 70 per le classi elementari, e 25 per il doposcuola.

Anche se le attività funzionano a ritmo ridotto dal pericolo di contagio, non mancano alunni (circa 25) per i corsi di lingua inglese, per altre attività educative, ma soprattutto per l’oratorio.

La Casa ha aperto i battenti circa sei anni fa quando il prefetto apostolico della regione (dove i primi missionari sono arrivati solo 23 anni fa), monsignor Wenceslao Padilla ha chiamato le suore salesiane a svolgere questo servizio nei quartieri periferici della capitale Ulan Bator, con un milione e mezzo di abitanti su una popolazione nazionale di 3,2 milioni di abitanti.

Suor Agnes racconta che «nelle periferie della capitale e nelle campagne vicine gli alloggi sono costruiti abusivamente e spesso mancano acqua potabile e strutture igienico sanitarie adeguate. Chi vive nei tradizionali gher, tende nomadi, è esposto all’uso di stufe a carbone per cucinare con rischio di bruciature e malattie respiratorie acute, mentre la mancanza di varietà alimentare, espone i piccoli alla malnutrizione e ai disturbi della crescita; qui si mangiano principalmente carne e latticini».

Molto importante è la missione educativa svolta dalle salesiane perché, continua suor Agnes «molti bambini hanno famiglie difficili alle spalle, crescono con un solo genitore o più spesso con i nonni. Alcuni di loro non sanno nemmeno chi sia la madre o il padre».

La Mongolia è terra di frontiera dove «noi religiosi e missionari non siamo liberi di insegnare o parlare di religione se non tra le mura della chiesa. A scuola dobbiamo limitarci a trasmettere semplicemente valori umani che per noi hanno una radice cristiana».

Oggi i cristiani sono circa il 2% in Mongolia, un Paese giovane, ma con un glorioso passato di imperatori e guerrieri coraggiosi come l’eroico Gengis Khan (1162- 1227).

La vita e lo sviluppo del Paese sono condizionati dalle temperature particolarmente fredde che da novembre a maggio vedono arrivare l termometro a -40 gradi.

Per questo in alcuni territori è praticamente impossibile sopravvivere e negli ultimi anni non pochi pastori nomadi hanno abbandonato le campagne dove molti animali da pascolo sono morti per il gelo e la mancanza di cibo.

Eppure la pastorizia è ancora una delle attività principali di questo Paese asiatico (20%), mentre il settore industriale (22%) è collegato all’estrazione di minerali (rame, molibdeno, oro, stagno, tungsteno, ecc) e vede coinvolte imprese coreane, russe, canadesi. Molti investimenti stranieri hanno portato ad un certo livello di sviluppo del settore tecnologico e alla diffusione soprattutto nella popolosa e inquinata capitale di tecnologie e servizi di telefonia cellulare.

Immagini di modernità in contrasto con l’alto numero di tradizioni nomadi in una Mongolia sospesa tra le glorie imperiali del passato e la spinta allo sviluppo economico.

In questo processo di veloce cambiamento si inserisce l’impegno di missionari di varie famiglie religiose in queste terre dove bisogna adattarsi a non poche difficoltà: dalla lingua alla necessità di indossare più capi di lana uno sopra l’altro (maglioni, calze, guanti), dal cibo (in prevalenza carne e thè salato d’inverno, formaggi e yogurt d’estate) all’inserimento della religione cristiana nel Paese.

La nomina di monsignor Giorgio Marengo, 45 anni, missionario della Consolata in Mongolia dal 2003, a vescovo di Ulan Bator è un segno importante.

«La Chiesa in Mongolia è una realtà viva e dinamica che richiede molta attenzione e molto lavoro. È bellissimo, perché si sente la forza della comunità cattolica che inizia il suo percorso… Pur essendo questa una realtà piccola e lontana dal resto del mondo, è a suo modo completa e ha bisogno di interventi e di incoraggiamenti che assorbono molte energie».