Megalopoli africane, cambiamenti climatici e sviluppo

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Entro il 2100 cinque città africane (Abidjan, Lagos, Kinshasa, Khartoum, Mombasa) saranno le megalopoli più affollate del mondo.

Entro la fine del secolo l’Africa sarà infatti il continente a registrare la maggiore crescita demografica. Le previsioni (avanzate dal quotidiano statunitense Washington Post in un accuratissimo dossier) ipotizzano che più di un terzo della popolazione mondiale sarà concentrato in Africa che ospiterà anche 13 delle 20 città più grandi del pianeta.

Insomma i cambiamenti climatici, l’instabilità politica, e le altre varianti non riusciranno a fermare lo sviluppo delle città.

Lagos (Nigeria) sarà la città più popolosa del mondo.

Oggi le condizioni di vivibilità sono già al limite per il traffico che stringe la città per 24 ore al giorno in una immobile morsa d’acciaio, l’inquinamento che avvelena l’aria ma anche fiumi e lagune su cui è costruita, la carenza assoluta di servizi pubblici e la densità di popolazione.

Khartoum (Sudan) potrebbe trasformarsi in un hub per milioni di rifugiati pronti a riorganizzare le comunità di provenienza.

La sfida è superare l’instabilità politica.

Kinshasa (Repubblica Democratica del Congo) è un laboratorio politico che si prepara a grandi cambiamenti.

Oggi è una città dove è ancora forte l’impronta segregazionista conferitale dai belgi, quando la edificarono durante gli anni bui del più duro colonialismo in cui un pugno di ricchi vive circondato da un mare di poverissimi.

Mombasa (Kenya) è la città costiera costruita dagli inglesi per essere il porto in grado di servire una enorme area regionale.

Vicoli strettissimi e terminal di stoccaggio delle merci convivono in un precario equlibrio socio-politico ma sarà interessante seguirne le enormi potenzialità culturali di una città che congiunge l’Africa con la penisola arabica. Infine Abidjan (Costa d’Avorio) potrebbe diventare l’avanguardia del cambiamento della nuova identità africana.

Già oggi infatti attira un gran numero di migranti e trasformarsi in un modello di tolleranza.