Le proteste a Cuba sono “un fatto inedito”, Chiesa vicina al popolo

I testimoni sul campo: "servono prudenza e riconciliazione". Ma l'esercito reprime con violenza il dissenso.

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«Non sono abituato a vedere la violenza, soprattutto se gratuita. La folla stava presentando un disagio, una fatica, una sofferenza, e lo stava facendo in modo civile… Quando è stata attaccata sono iniziati gli scontri».

Racconti come questo, che arrivano da Cuba, descrivono una situazione di disagio popolare, seguito da una reazione violenta e autoritaria da parte delle forze dell’ordine cubane.

Ma soprattutto sono la testimonianza che nell’isola sta accadendo qualcosa di assolutamente nuovo, che non si verificava in questi termini dai tempi della rivoluzione socialista di Fidel Castro.

Quello che è successo domenica 11 luglio è «un fatto inedito per Cuba dalla Rivoluzione fino ad oggi», racconta une fonte vicina alla Chiesa cattolica.

«La gente fugge da tutte le parti e la polizia insegue, picchia duro e lancia i cani».

La voce raccolta (che preferisce restare anonima) ci aiuta a ricostruire la dinamica delle manifestazioni nelle principali città e villaggi dell’isola, e a comprendere lo spirito che le anima.

La cronaca dei disordini di domenica scorsa è molto esplicita: «Nel frattempo molti agenti di polizia hanno iniziato ad accompagnare la folla. Sembrava tutto tranquillo, un cordone di sicurezza. Arrivati poco prima del partito, attendono schierati i nuclei antisommossa».

E ancora: «Nel frattempo in tutto il Paese è stato bloccato internet, per evitare che circolassero filmati e notizie. Ad ora internet sui cellulari è stato bloccato ed al wi-fi pubblico molti siti e social sono bloccati».

Cosa chiede la gente? «Cibo e medicinali per i propri infermi, e che lo Stato permetta corridoi umanitari per aiutare il pueblo».

Inoltre, spiega la fonte, «lo Stato cubano sta rifiutando molti aiuti perchè sarebbero uno strumento della contro-rivoluzione».

La Chiesa cerca di star vicina al popolo e di osservare gli sviluppi futuri: «sicuramente sarà necessaria molta prudenza e parole di riconciliazione, rappacificazione e speranza».

A la Habana durante gli scontri «un sacerdote ha preso l’immagine della Vergine Maria e ha iniziato una processione e la violenza è cessata. Noi cerchiamo di essere operatori di pace nel nostro piccolo».

La stampa di tutto il mondo parla delle proteste di massa di questi giorni come di un “evento unico, anomalo” per Cuba, non facilmente reprimibile, stavolta. Quasi mai il popolo cubano in questi anni ha manifestato in modo così capillare e trasversale il malcontento, se non nella breve parentesi degli anni Novanta.

Stavolta però la pandemia del Covid associata alla crisi inflattiva e alla totale mancanza di libertà di parola e movimento, ha provocato una deflagrazione inevitabile del malcontento.

«Alcune dimostrazioni sono state pacifiche, altre sono state poco più che riots (piccole rivolte urbane ndr.)  ed una scusa per fare un po’ di saccheggio – scrive il quotidiano The Nation – Ma non c’è dubbio che tutte siano espressione della disperazione e della frustrazione economica di un popolo e della incapacità del governo di alleviare il suo stato di indigenza».

La reazione del Presidente Miguiel Diaz-Canel continua ad essere deludente e autoritaria, come testimonia il tenore dei suoi discorsi al Paese, e la richiesta di tornare alla normalità in nome della rivoluzione del 26 luglio 1953, contro il dittatore Fulgencio Batista.

«Mi sarei aspettato parole di riconciliazione, un invito all’unità nazionale, ad affrontare con coraggio il difficile momento – dice la fonte – invece ha detto parole pesanti come macigni». Il tasto su cui batte il presidente è la legittimità della rivoluzione socialista.

Ma da quel famoso 26 luglio castrista sono passati ben 68 anni e Cuba in questo lasso di tempo è cambiata parecchio. Soprattutto è cambiato il resto del mondo. Inoltre l’apertura parziale dell’isola al Mercato ha accentuato diseguaglianze e frustrazioni.

«Fidel e Raúl Castro, il cui prestigio in quanto fondatori del regime ha ottenuto sempre il supporto dei vecchi cubani, sono morti, e la nuova generazione di leader a loro subentrati deve guadagnarsi il diritto di governare in base a dei risultati», scrive the Nation.

Risultati economici e sociali che però non si vedono. E che esasperano la gente, ridotta ad una povertà senza consolazione.