La strana estate dei profughi, il ruolo della Chiesa che non va in vacanza

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È una strana estate questa del 2022 per i profughi in cerca di protezione nell’Unione europea e in Italia.

Da un lato il conflitto in Ucraina ha provocato iniziative straordinarie a favore dei cittadini di quel Paese in fuga, anche con provvedimenti legislativi ad hoc per superare le regole fissate per quelli di altre nazionalità.

Dall’altro ha reso più difficile la condizione di questi ultimi, proprio in un periodo che abitualmente vede moltiplicarsi i tentativi d’ingresso via mare e lungo la cosiddetta Rotta balcanica.

In estrema sintesi, gli ucraini entrano senza problemi, per gli altri i problemi aumentano.

Significativo è quanto accaduto nei mesi scorsi alla frontiera polacca con l’Ucraina: gli ucraini sono passati subito e poi sono andati dove volevano; gli stranieri profughi nel Paese che hanno a loro volta tentato di uscirne stanno ancora aspettando decisioni sulla loro sorte.

L’unica risposta, purtroppo contenuta nei numeri, ma significativa, viene dalle organizzazioni religiose, cattoliche e non solo, che fanno supplenza alle istituzioni pubbliche (e per inciso alle agenzie dell’Onu sempre meno sostenute dai governi degli Stati membri) organizzando in proprio corridoi umanitari per consentire in piena legalità ingresso e reinsediamento.

Quest’ultimo è uno strumento di protezione internazionale destinato ai rifugiati che non possono tornare nel loro Paese, anche se hanno cercato accoglienza in un altro Stato, dove però la loro integrazione o la loro sicurezza siano a rischio.

Ed è sostanzialmente la condizione della maggior parte dei profughi nel mondo, in massima parte concentrati in campi mediorientali, asiatici e africani.

Si tratterebbe cioè, di un canale regolare e sicuro, da un lato per ridurre il traffico di esseri umani, dall’altro per consentire agli Stati di controllare il possesso dei requisiti per l’ingresso legale sul loro territorio.

L’espressione ipotetica è d’obbligo: in Italia, per esempio, i controlli sono compito delle questure che non hanno personale sufficiente per effettuarli in tempi ragionevoli e i posti per l’accoglienza sono stati drasticamente ridotti con i cosiddetti Decreti sicurezza del 2018 (quelli voluti dalla Lega) solo in parte poi cancellati.

Basti dire che le autorità regionali del Friuli Venezia Giulia, la prima regione italiana su cui premono gli arrivi dalla Rotta balcanica, negli ultimi anni hanno ridotto i posti per l’accoglienza ad appena 84.

E allora, il lavoro che spetterebbe allo Stato e alle istituzioni territoriali lo fanno le organizzazioni religiose umanitarie, con la Caritas italiana in prima linea nell’emergenza, grazie alla rete che si è venuta a creare nei luoghi di transito totalmente inadatti all’accoglienza.

E va ricordato che oltre 20mila richiedenti asilo in Italia, più di un quinto del totale, sono ospitati da diocesi, parrocchie, comunità religiose e famiglie cattoliche.

Un progetto che sta dando buoni risultati è stato realizzato dalla Comunità di Sant’Egidio con la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, la Tavola Valdese e la stessa Caritas italiana, con l’obiettivo di evitare i viaggi con i barconi nel Mediterraneo, che hanno già provocato un numero altissimo di morti, tra cui molti bambini.

impedire lo sfruttamento dei trafficanti di uomini che fanno affari con chi fugge dalle guerre; concedere a persone in “condizioni di vulnerabilità” (per esempio, oltre a vittime di persecuzioni, torture e violenze, famiglie con bambini, anziani, malati, persone con disabilità) un ingresso legale sul territorio italiano con visto umanitario e la possibilità di presentare successivamente domanda di asilo.

L’impegno per i corridoi umanitari vede all’opera volontari delle associazioni che si recano nei campi, prendono contatti diretti con i rifugiati e predispongono una lista di potenziali beneficiari da trasmettere alle autorità consolari italiane, che dopo il controllo del ministero dell’Interno rilasciano dei visti umanitari.

Arrivati in Italia, i profughi sono accolti in strutture o case a spese delle organizzazioni aderenti al progetto, si insegna loro l’italiano, si iscrivono a scuola i bambini, per favorire l’integrazione Paese e aiutarli a cercare un lavoro.

Alla Comunità di Sant’Egidio, per esempio, papa Francesco affidò i 12 profughi siriani che condusse con sé dalla sua prima visita a Lesbo.

All’epoca, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, affermò che «la creazione dei corridoi umanitari colloca l’Italia all’avanguardia della solidarietà, e rappresenta un momento di realizzazione concreta dei principi della Costituzione».

Le persone assistite in questo modo sono finora poche migliaia ma, come sottolinea lo slogan del progetto, con piccole gocce si può cambiare il mare.

E gocce di cambiamento sono necessarie, in un mare di dilagante violenza a livello globale, di teorizzazioni inquietanti della necessità della guerra, di bilanci militari aumentati per favorire la produzione di armi e i guadagni che provoca a pochi al prezzo della vita di molti.

È necessario questo impegno ad aprire cantieri, per piccoli che siano, perché possano operare i costruttori di pace.