Africa ed energia: “in Europa caro-benzina, in Kenya street food alle stelle”

Fra Ettore Marangi ci spiega le ripercussioni della crisi dell'energia sul Paese africano.

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«Il trasporto è tutto, e tutto si muove sulle quattro ruote in Kenya: l’aumento dei prezzi della benzina fa aumentare quelli del cibo che scarseggia».

Negli ultimi mesi l’inflazione è schizzata alle stelle in Kenya: persino lo street food di Nairobi ha subito un incremento di prezzo.

A descriverci le conseguenze del caro-vita nel Paese africano reduce delle elezioni presidenziali, è fra Ettore Marangi, missionario francescano nello slum di Deep Sea alla periferia di Nairobi.

Ettore parla di «crisi energetica ed economica dovuta in parte a fattori interni, in parte alla guerra ucraina».

«in Europa se aumenta il prezzo del petrolio – spiega il francescano – c’è un problema con i costi della benzina, mentre in Kenya se aumenta il prezzo della benzina noi mangiamo di meno perchè i costi del trasporto fanno lievitare anzitutto quelli dei beni di prima necessità».

Durante la campagna elettorale l’inflazione e i temi legati al caro-vita hanno tenuto banco tra i candidati.

Ognuno aveva la sua ricetta, ma la vittoria di William Ruto «non ha risolto la questione».

Il greggio di Uganda, Etiopia e Kenya arriva in gran parte dal confinante Sud Sudan che rifornisce i Paesi dell’Africa orientale.

Ma Nairobi importa una parte di combustibili fossili anche dalla Russia, che ha ridotto bruscamente l’export, sceso da 12 miliardi di scellini a 6,6 miliardi. 

Inoltre, le scorte di petrolio africano vengono esportate sempre di più in Cina, lasciando sguarnito il mercato regionale.

«Il governo in gran parte ha sussidiato il comparto energetico – dice ancora Marangi – ma non può essere fatto all’infinito».

Il Paese non è del tutto sprovvisto di pozzi di petrolio, ma anche questi servono il mercato estero: la britannica Tullow Oil, assieme a TotalEnergies e Africa Oil, ha ultimato un investimento da 3,4 miliardi di dollari per il Lokichar oil project nel nord del Kenya, attivo a partire dal 2025.

Peccato che gran parte di questa produzione è destinata ad uscire fuori dal Paese.

E ancora, ci spiega Fra Ettore: «Per l’Europa il problema quest’inverno sarà dato dall’elevato costo energetico del riscaldamento per via delle strettoie imposte al gas russo; ma qui da noi in Kenya siamo già arrivati ad un bivio tra mangiare e non mangiare: in Africa l’energia vuol dire quasi tutto». 

La siccità, i cambiamenti climatici (che portano ad esempio al prosciugamento del lago Turkana durante la stagione secca, ma anche alle inondazioni durante la stagione delle piogge), assieme all’aumento dei prezzi del greggio rappresentano la grande scommessa del futuro keniota.

Per ora a soffrirne maggiormente sono le donne delle tribù più povere come quelle della provincia di Samburu, dove, come scrive la reporter Juliette Gash per RTE news, la crisi idrica morde e la scarsità di piogge colpisce le famiglie, che non mangiano.

E costringe le donne ad un surplus di lavoro: «le donne durante questi loro lunghi viaggi per attingere l’acqua ai pozzi e cercare il cibo, diventano vulnerabili sia agli attacchi degli animali che degli esseri umani».